I Giochi degli altri

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Quando ero bambino vedevo Tomba in tv e dicevo: “Anche io un giorno sarò alle Olimpiadi”. Siccome ero megalomane, e siccome non mi piaceva solo sci, pensavo sarei stato il primo atleta a vincere il campionato italiano di basket, le olimpiadi invernali in più discipline diverse e magari anche quelle estive, anche se devo dir la verità sapevo di non essere bravo nell’atletica ad esempio.  A parte Torino 2006, vissuta tra l’altro praticamente da tifoso, io alle Olimpiadi non ci sono mai stato. Atene era troppo presto, Londra troppo tardi, Pechino troppo lontana e costosa, per non parlare di Vancouver. Sochi dovevano essere i miei primi giochi, e neppure da giornalista, poi è finita in maniera diversa ed è meglio che non ci penso. Ma quanti avevano i miei stessi sogni di bambino? Tanti. E non solo atleti come Innerhofer che poi li hanno realizzati. Durante il mio anno in Fisi ho avuto modo di conoscere due ragazzi più o meno coetanei che ce l’hanno fatta: Gabriele Thiebat, ortopedico apriginocchia e non solo della nazionale di snowboard-freestyle, e Diego Montalbano, fisioterapista (o osteopata?) furlan adottivo della medesima squadra. Complimenti amici, un giorno ci arriverò anche io. Il culo che queste persone si fanno – in cambio di un compenso spesso ridicolo – è ammirevole, e nei successi spesso ci si dimentica di loro: Inner ha ringraziato Federico Tieghi, non tutti lo fanno. Ma la goliardata di Gabriele con Matiz è andata in mondovisione: un giusto riconoscimento per un team come quello dello snowboard freestyle che avrebbe meritato medaglie vere.

Le pagelle della spedizione azzurra a Sochi

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Sci alpino maschile: 7,5 Innerhofer, ma non solo. Quattro nei primi dodici in discesa, Fill vicino al podio sia in superG che nella stessa discesa (rispettivamente a 2 e 4 decimi), Gross a cinque centesimi dal bronzo in slalom. Alla fine le grosse delusioni sono state Heel (che però non sta disputando la miglior stagione della carriera) e Moelgg, che ha patito la neve molle più in testa che sotto gli sci. Paris ha l’attenuante dell’infortunio, Simoncelli ha fatto mezza gara superlativa e i “giovani” Nani e De Aliprandini si son fatti valere; Thaler è saltato quando sembrava in linea per il podio, mentre discorso a parte merita Razzoli che si vede essere sfiduciato. Ha ancora 2-3 anni di carriera, forse 4, per non esser ricordato come il “one shot man”. Deve cambiare qualcosa adesso, ciò che sembra dargli serenità è forse una bambagia da cui allontanarsi per crescere e tornare campione.

Sci Alpino femminile: 6,5. I due quarti posti sono sfiga, chiaro, ma sono arrivati entrambi un po’ inaspettatamente: Daniela Merighetti non veniva da un anno all’altezza degli scorsi come risultati, e si può mangiare le mani fino a un certo punto, così come Nadia Fanchini, che ha ottenuto il miglior piazzamento in gigante nelle ultime due gare (Lienz e appunto Sochi, quarta). Le sue lacrime meritano di asciugarsi presto, ha dimostrato di sapersi alzare mille volte. Maluccio il resto della spedizione: insufficiente la Brignone (credo possa valere un discorso analogo a quello fatto per Razzoli su alcune cose), e anche Nadia poteva far un po’ di più nella velocità, anche se è stata sfortunata nelle liste di partenza. Poco ci si poteva aspettare da Elena Fanchini (in calo), Francesca Marsaglia (in crescita) e Verena Stuffer, mentre Denise Karbon probabilmente potrebbe decidere di ritirarsi dopo un’olimpiade in chiaroscuro, anche se molto dipenderà dai suoi problemi extrasportivi. Da dimenticare con un bel 2 lo slalom: l’Italia, la patria della Quario, della Compagnoni e delle Magoni non può presentarsi al cancelletto con due sole ragazze, di cui una ancora molto indietro nella disciplina. Serve cambiare i tecnici delle giovanili e investire molto tra i pali stretti.

Slittino: 7,5. La medaglia di Armin, ma non solo: Fischnaller sarà protagonista, Rieder è un po’ più indietro nel percorso di maturazione, così come le donne (forse Voetter è quella che promette meglio). Oberstoltz/Gruber hanno fatto la loro solita gara, mentre sono sembrati in netta crescita Rieder e Rastner.

Snowboard e Freestyle: 6. Cesare Pisoni ha fatto un lavoro eccezionale negli ultimi 4 anni, e lo testimoniano il ricambio generazionale nel cross e – in parte – nel parallelo, cercando nel frattempo di tirar fuori qualcosa di buono da slope e gobbe. Abbandonato – giustamente – l’half pipe (troppa concorrenza, pochi talenti veri, nessun tecnico di rilievo), si è tracciata la strada giusta, che meritava più di qualsiasi altra disciplina la medaglia. Invece è andato tutto male: nel parallelo i legni di Boccacini e March sono ottimi risultati ma lasciano l’amaro in bocca, Fischnaller ha avuto sfortuna nell’accoppiamento dello slalom mentre doveva far meglio in gigante. Nel cross la Moioli è caduta (con infortunio) in finale, Visintin è stato tirato giù mentre poteva competere almeno per l’argento e Matteotti ha pasticciato un po’ in finalissima: una serie di concause e congiunzioni astrali negative ha lasciato un aereo colmo di rimpianti per la nazionale più forte del mondo. Si può e si deve investire invece di più nello skicross, andando a cercare i talenti incompresi tra i 14 e 18 anni nelle discipline veloci dell’alpino.

Biathlon: 7. Facce fresche, una medaglia che fa morale e che accontenta uomini e donne, ma anche il quarto e il sesto posto di Oberhofer e Wierer nella sprint. Il futuro di questa meravigliosa disciplina è azzurro.

Fondo: 5,5. L’ottima prova della staffetta a squadre – sia maschile che femminile – lenisce i dolori per la mancata finale di Pellegrino, forse l’unico talento vero rimasto che però dovrebbe concentrarsi un po’ anche su altre distanze proprio per non arrivare impreparato agonisticamente ai grandi eventi. Nel femminile i talenti per vedere un futuro roseo ci sono (Agereiter su tutte), diverso il discorso tra gli uomini dove Hofer e Clara rimangono di fatto soli.

Pattinaggio: 8. Carolina Kostner, ma non solo. Una generazione di talenti forse irripetibile (pensiamo che Valentina Marchei, probabilmente alla prima e ultima Olimpiade, è probabilmente la seconda miglior pattinatrice italiana di tutti i tempi…), con Cappellini/Lanotte e Hotarek/Berton a far sognare anche nell’ (inutile) gara a squadre. Per assurdo preoccupa il futuro: la situazione è drammatica nel maschile (si pesca l’oriundo all’estero, e pure scarso), e la mancanza di nomi credibili per l’eredità di Carolina e Valentina è un problema che va affrontato con programmazione; i soldi per investire nel dopo Torino 2006 sono stati in parte buttati…

Salto/Combinata nordica: 5,5. Un settore che fino a due anni fa sembrava in super crescita non può basarsi sui risultati – straordinari – del solo Pittin, con l’ottimo quinto posto della Insam come consolazione e il settimo di Runggaldier a far sperare nel futuro, con Bauer e Elena Runggaldier che sono talenti da recuperare. Forse Ebenoch deve tornare dalle donne, e per gli uomini è il caso di andare a pescare nella vicina Slovenia.

Short Track : 9. Il talento di Arianna Fontana eleva il livello delle compagne, e può essere da traino per una nuova generazione. Le medaglie di Arianna hanno portato alla ribalta uno sport meraviglioso, fatto di contatti al limite e di velocità, che tra le altre cose – al contratrio della pista lunga (voto 5) – non necessita di strutture particolari. Nei palaghiaccio bisogna cominciare a organizzarsi, e la federazione deve investire nella formazione dei tecnici: la butto lì, è il nostro tipo di sport.

La patria di Geppetto

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Scusate il ritardo, questo post dovevo scriverlo sabato, ma l’inviato questa volta non era in divano bensì a Gais a festeggiare come si deve Christof Innerhofer.

C’è chi ha pianto, chi l’ha presa con filosofia, chi era felice perché comunque era il miglior risultato della carriera. Chi si è chiuso in sé stesso e chi si è autoflagellato per mezzo errore che è costato la gloria eterna.
Sabato è stata la giornata delle cosiddette medaglie di legno, con tre (tre!) quarti posti in cinque gare. Ma chi parla di mentalità, di delusione per la medaglia mancata, ha ragione solo in parte. Conosco tutti tre i ragazzi che sono giunti quarti ai Giochi, e anzi, più in generale devo dire che li conosco quasi tutti (Karin Oberhofer un po’ meno). Per loro vale, anche se forse con meno enfasi, il discorso che qualcuno, mi pare un senatore, ha fatto alla festa di Inner: su 7 miliardi e passa di persone che popolano questo pianeta, questo ragazzo cresciuto a Gais è arrivato secondo. Loro sono arrivati quarti. Quarti su sette miliardi non è mica male eh!

Corinna è un’amica, nonostante sia friulana, di Udine per giunta. Ci prendiamo in giro per le nostre origini fin dal 2010, e ho avuto la fortuna di vivere da vicino una delle sue stagioni migliori, il 2010/11: è un’animale da competizione. E’ tanto allegra e spensierata lontana dalla tavola quanto impressionante quando ci sale su. A La Molina, ai mondiali, non andò particolarmente bene pur essendo in forma (e io sono convinto che quella gara, vinta da una carneade norvegese, potesse essere sua): per due ore, dopo l’eliminazione, sparì per tutti. Niente lacrime, solo tanta rabbia e una sigaretta scroccata (poi ha smesso eh!). Non è strano che con quel carattere abbia disputato TRE edizioni dei giochi olimpici quando i trent’anni sono ancora abbastanza lontani. Devo dire la verità, la invidio. Anche se la xè furlana.

Aaron March è un ragazzo d’oro: più chiuso rispetto al “napoletano” Fischnaller, ha talento da vendere in slalom, dove a mio avviso è tra i migliori 4 del mondo con Kosir, Fischnaller stesso e Promegger. Ha rischiato tutto contro un avversario alla portata, è andata male e so benissimo quanto ci rimurginerà su. Stefano Gross lo conosco meno: sono stato a “casa” sua giusto due settimane fa, e l’ho visto allenarsi. “Dà un secondo a tutti”, mi hanno detto. “A parte Hirscher è il più forte”. In allenamento, perché in gara ha patito molto psicologicamente alcuni errori ed è sceso nelle classifiche: questo quarto posto non deve demoralizzarlo, anzi, deve dargli la fiducia per tornare al più presto tra i migliori. Dei “quasi” medagliati, è l’unico che si è autoaccusato di colpe – che tra l’altro probabilmente non ha: obiettivamente non credo sia il miglior presupposto, ma sai mai che gli faccia scattare quella molla…

Il cambio della guardia

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Non è ancora ufficiale, ma Claudio Ravetto lascerà la guida tecnica della nazionale maschile di sci alpino a fine stagione. Un vero peccato, se si pensa che questo omone ha fatto miracoli sia in termini di risultati che di credibilità: è arrivato con l’uragano Morzenti, e gli ha resistito con risultati strepitosi. Ha ricostruito una squadra di discesa vincente, ha creato quella che per anni è stata la miglior nazionale di slalom, ha resuscitato quella di gigante, ha messo l’olio giusto nel motore femminile andando, al di là delle vittorie, a consegnare a Plancker una nazionale con pochi talenti ma tanta voglia di far bene, recuperando le Fanchini e crescendo Merighetti e Brignone. L’addio è però giusto e inevitabile: dopo tanti anni, con gli stessi atleti, si corre il rischio che i rapporti si logorino, e cambiare guida tecnica è spesso necessario. Non so cosa farà (penso finirà all’estero, non escludo in Canada), ma gli va detto un grazie enorme. Spero gli succeda Gianluca Rulfi, e credo che anche gli slalomgigantisti avranno una nuova guida tecnica dopo che Theolier sembra aver perso il tocco magico, nonostante la crescita spaventosa di DeAliprandini e Nani. In fin dei conti alla nazionale azzurra rimangono i talenti, tutti relativamente giovani: con la giusta guida, vada come vada domani, possono riuscire a emergere o a confermarsi. Se la scelta non cadesse su Rulfi, andrei a pescare all’estero: un motivatore capace di ricompattare la squadra di discesa, scricchiolata un po’ quest’anno nonostante risultati più che discreti, e un super tecnico per le discipline tecniche capace di convincere i ragazzi che la mono-disciplina è la scelta peggiore. 

Hockey femminile: la legge del contrappasso

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@Burlone76 racconta l’incredibile finale dell’hockey femminile.

Ieri terminava il torneo femminile di hockey.Guardavo la Kostner, come tutti, e una volta terminata la finale artistico ho cambiato canale.

Vedo U.S.A. – Canada 2-0 e penso “finita facile per le americane”.
C’è un modo di dire “Finché la grassa signora canta non è finita”.
“Su dai, rendetela interessante ragazze” e la Jenner mi ascolta e a 3:30 dalla fine segna l’1-2 per la speranza canadese. 
Il Bolshoy diventa un altoforno del tifo, le canadesi ci credono e a due minuti dalla fine fanno quello che fanno tutti sotto di uno/due goal: spingono fuori il portiere e lo cambiano con una donna di movimento in più. Il Canada schiaccia le statunitensi, grandi parate dell’americana, disco in mano ad un’americana; il campo è libero: lo appoggia precisa verso la porta vuota: gli americani non respirano, i canadesi non respirano… PALO ESTERNO recupero canadese e con la disperazione Poulin la mette dentro di cattiveria con il cronometro che segna 34 secondi da giocare.
DA URLO!
Si va all’overtime: il ritmo è intenso, quasi maschile. Le americane sembrano averne di più e guadagnano pure un powerplay che però dura solo 5 secondi. Le canadesi avranno 5 secondi di powerplay alla fine della penalità.
In 4 contro 4 sembrano le canadesi più tranquille ma le americane vogliono chiuderla e penetrano la difesa della foglia d’acero con convinzione; disco stupido perso, contropiede della Watchorn: sarà rigore in movimento se la Knight non la ferma e lo fa con le cattivissime: 2 minuti per cross cheching (che io proprio non vedo: avrei detto tripping ma vabè).
In quattro contro tre le americane durano pochi secondi e la Poulin diventa l’eroina della partita e di pottenza pura infila il puck per l’oro dopo una circolazione ubriacante. “3-2” “Morte rapida” e “grassa signora che finisce di cantare”.
Che adrenalina!
Che leggenda!
E’hockey!
Ma è normale quando giocano U.S.A. e Canada. Siete avvisati per la semifinale maschile di oggi.

Loro e l’oro

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Negli sport dove c’è un giudice a decidere non sempre vince il migliore. Oddio, non vince il migliore neppure dove c’è un arbitro, e forse a volte neppure dove c’è il cronometro. Conta il fattore c e il fattore campo, ed è normale e addirittura giusto che gli atleti di casa vengano visti con un minimo di occhio di riguardo. Un minimo, per l’appunto. Nessuno si sogna di dire che la Kostner meritasse la medaglia d’argento, tranne gli esagitati da tastiera e da curva che vedono complotti massonici ovunque gridando allo scandalo salvo poi dimenticarsi dell’esistenza del pattinaggio per i prossimi quattro anni (ps: tranquilli, a parte forse Cappellini/Lanotte nella danza l’Italia non vincerà più una medaglia nel pattinaggio di figura per i prossimi 15). Pur con un programma artisticamente sublime, era stata dietro alla Sotnikova, la russa B, quella che comunque ha avuto il merito di portarsi sulle spalle un’intera nazione dopo il flop della favoritissima Lipnitskaya. Dietro forse di troppi punti, ma dire che tecnicamente il programma di Carolina valesse quello della russa è una bestemmia. E’ quello che è successo con Yu Na a non andare giù a me e al mondo intero: sono stati trovati errori inesistenti in quella che a mio avviso è stata la più grande prestazione individuale di tutti i tempi nella storia del pattinaggio artistico femminile. Superiore a Vancouver, per le pressioni che questo robot made in Korea aveva. Superiore addirittura a Katarina Witt a Calgary. Era un altro pattinaggio, è vero, e a livello tecnico quell’esercizio non sarebbe arrivato nemmeno a 65, ma a livello artistico e di carica erotica e sensuale… Forse, però, non è l’oro rubato a Yu Na, che tra l’altro sarebbe stata la prima a bissare il gradino più alto proprio dopo la Witt, che mi dà fastidio. E’ l’antisportività del pubblico dell’Iceberg, che dopo aver fischiato la coreana durante il riscaldamento si è permesso di “disturbare” i giudici con il noiosissimo “Ros-si-ja” ripetuto all’infinito, dimostrandosi pubblico degno di uno stadio italiano e non certo di quel teatro di emozioni che è il patinoire. I russi, ammetto, non sono certo il mio popolo preferito, nonostante le mie mai negate simpatie giovanili per il mondo sovietico, tanto da conoscere quasi a memoria l’inno (quello sovietico, non quella porcheria che c’è ora). Troppo volgare – per quanto possa sembrare assurdo che la patria di Dostojevski, Chaikovski e del balletto sia volgare -, troppo nazionalista, troppo loro. Ecco, noi amanti dello sport olimpico siamo noi, e loro sono loro. E Yu Na, per me, è l’oro.

Carolina, ma sei proprio tu?

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La mia scarsa simpatia nei confronti di Carolina Kostner è risaputa. O meglio, non tanto per lei, ragazza dai modi gentili che vive in un mondo tutto suo, quanto per tutto quello che di italiano la circonda, a partire dai miti creati ad arte e facilmente smontabili. Nessuno mette in dubbio che sia la miglior pattinatrice europea degli ultimi 6-7 anni, così come nessuno mette in dubbio la sua eleganza e il suo stile; purtroppo non sempre i grandi atleti sanno farsi consigliare bene, e così, devo essere onesto, più di qualche volta non sono stato affatto dispiaciuto per i suoi frequenti flop. Dal 2010 però qualcosa è cambiato: Caro è diventata più matura, meno presente mediaticamente, e ha fatto di testa sua. I risultati si sono innegabilmente visti, a prescindere dal fatto che il titolo iridato vinto fosse quasi “obbligato” per l’assenza di tutte le big, anche se va detto che i colpevoli hanno sempre torto.

Nel corto di Sochi Carolina mi ha stupito: forse grazie all’inutile gara a squadre, la pattinatrice di Ortisei ha cacciato i fantasmi di Torino (legittimi) e quelli di Vancouver, dove una delle favorite per la medaglia era caduta tante di quelle volte da perderne il conto, come lei stessa ha dichiarato nel bellissimo spot di Procter & Gamble con sua mamma. Ha eseguito il programma alla perfezione, sulle note di quell’Ave Maria che reputo la “canzone” d’amore più bella di tutti i tempi. Ha pattinato con la consueta grazia, mettendoci anche grinta e personalità, doti che spesso le sono mancate. Pattinare dopo una Yu Na francamente perfetta e dopo la caduta della Lipnitskaya era difficile: lei lo ha fatto, chiudendo al terzo posto un programma libero difficilmente migliorabile. Domani si gioca la medaglia: può farcela, a patto di essere perfetta. Con Mao fuori dai giochi (recuperare 20 punti è impossibile o quasi), sono a mio avviso in cinque per tre posti. La baby russa, se non patisce la pressione come oggi, può mirare all’argento, e per il bronzo rimangono Caro, la sorprendente Gracie Gold e la Sotnikova, che può contare su una giuria benevola. Tutto può succedere: per me l’oro andrà proprio a Yu-Na, l’argento alla Lipnitskaya e il bronzo sarà questione tra la Sotnikova e la Kostner. Ma al di là del risultato, che segnerà comunque la fine della più grande campionessa del ghiaccio che l’Italia abbia mai avuto (e che mai avrà, almeno per 15 anni), Carolina ha già vinto, guadagnandosi addirittura il tifo di un permalosone come me.

Lettonia, la cenerentola regge ma passa il Canada

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@Burlone76 ormai ha preso l’impegno sul serio: ancora Hockey, rigorosamente dal divano!
Canada – Lettonia 2-1
Ci sono partite stregate o partite magiche, che restano nella storia, a seconda del punto di vista da cui le si guarda: per i Canadesi è stregata. I canadesi vanno in vantaggio per primi con Sharp. Tutto da copione ed invece la Lettonia capitalizza il powerplay che il Canada concede: Darzins pareggia. La Lettonia fa simpatia.

Poi comincia la triade maledetta dei canadesi: grande agonismo in difesa, un grande Gudlevskis in porta dei Lettoni e sfiga, come dirla altrimenti?

La Lettonia ci prova ogni tanto e non è senza idee quando esce dal suo terzo. Smette di fare simpatia e comincia a fare paura. Le facce dei canadesi diventano sempre più tese. Gli assalti più veementi. La piccola Lettonia regge. Non bastano due parate al limite che devono essere controllate dagli arbitri per negare il gol ai Canadesi.

Sidney Crosby manca il tempo giusto per segnare di un niente.
La Lettonia si presenta per ben due volte davanti a Price (Carey, non Benji) e fa tremare la potenza hockeyistica mondiale.
Allora quando Weber a 7 minuti dal termine infila uno slapshot devastante e converte il powerplay sulla sua faccia c’è più sollievo che gioia.
Ed è qui che la Lettonia diventa grande: reagisce e rimette paura ai grandi canadesi: nemmeno spingere fuori Gudlevskis gli consente di mettere dentro il gol a porta vuota. Finisce 2-1. Grazie per lo spettacolo, piccola Lettonia.
Canada che avanza ed incontra gli U.S.A. in semifinale la Cechia 5-2: dopo un sussulto iniziale marcia reale americana fino alla fine: sarà il rematch di Vancouver che tutti volevano (ma forse lo preferivano in finale a questo punto)
 Curiosità: ieri sono uscite tutte le tedesche, oggi tutte le slave
Previsioni per le semifinali Svezia – Finlandia BOH?
Canada U.S.A. BOH?
Solo per simpatia dico Svezia e Canada.

Come fallire in casa: dalla Russia, con disonore

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Non si compone più il mio podio ma ieri l’avevo detto: la Finlandia è solida e fresca, la Russia no.
Russia che parte bene in powerplay con Kovalchuck e finisce male male male, facendosi rimontare fino al 3-1 finale.
Paura che diventa terror panico col tempo: la Russia doveva vincere e non arriva nemmeno a medaglia. Mancano all’appello le superstar Oveckin e Malkin: in questa partita hanno statistiche imbarazzanti e senza i top player non si va lontano. Onore ai finnici che faranno a sportellate coi vicini di casa della Svezia in semifinale e si giocheranno una medaglia in ogni caso: se lo meritano entrambe.

Hockey, il recap del barrage

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Ancora @burlone76 dal divano!

Finita la giornata dei barrage (ma se vi fa piacere chiamateli pure ottavi) con grandi emozioni.
Riviviamole in ordine cronologico:
Slovenia-Austria 4-0
Anze Kopitar aveva minacciato la sua assenza per problemi fisici e, visto che è suo il gol che apre il balletto degli sloveni, gli austriaci l’avrebbero decisamente preferito fuori dai giochi.
I precedenti erano fortemente a favore dell’Austria ma una Slovenia così forte non c’era mai stata ed il 2-0 in inferiorità numerica qualcosa vorrà dire.
Austriaci senza idee. Austriaci senza voglia in attacco e quindi poco a poco si arriva al 4-0. Perentorio. Da dover sostituire il portiere perché nell’hockey si fa così quando la partita è persa.
E quindi “Slovenicle” (“Slovenia miracle”)  va avanti! Mai così in alto e domani mattina incontrano la freschissima Svezia che però ora li prenderà molto sul serio. Di tutte le squadre che hanno giocato oggi la Slovenia è quella che arriva più “riposata” all’appuntamento dei quarti. La Svezia ha assenze importanti. La Slovenia non ha nulla da perdere. Mi sbilancio e prevedo questo come un quarto molto equilibrato.
Russia-Novevegia 4-0
C’è 4-0 e 4-0 e i russi vivono un primo periodo da panico: norvegesi chiusi come una cintura di castità fino al secondo quarto: c’è paura. C’è ansia da prestazione.
Ci si aspetterebbe una Norvegia che va in pezzi sull’ 1-0 ed invece osa quasi reagire! Respirano dunque i russi sul 2-0 di Kovalchuk. Gli ultimi due goal arrivano in quel momento magico in cui la squadra dietro, cercando di recuperare, gioca il tutto per tutto e spinge fuori il portiere. Missione compiuta quindi, ma manca qualcosa per ambire ad una medaglia. Finlandia affila le lame dei pattini riposata e con un quarto della pressione psicologica dei padroni di casa. Forse proprio incontrare la Finlandia sbloccherà il potenziale russo.
Lettonia-Svizzera 3-1
La contemporaneità con il derby Cechia – Slovacchia comporta al mio pollice la medaglia d’oro di channel switch, ma questa partita è per me la vera sorpresa dei barrage: la tanto decantata difesa Svizzera va sotto di 2. Poi il gol che illude gli svizzeri. Pubblico che tenta di svegliarsi: botte da orbi e puck veloci, poi in qualche maniera si arriva al 3-1 per i lettoni perché lo spettacolo a quel punto era altrove! Comunque tutta questa fatica per farsi eliminare dal Canada nella prossima partita.
Rep.Ceca -Slovacchia 5-3
 Hockey puro. Spettacolare. Da far venire le gambe molli e solo per stomaci forti. Noiosa forte all’inizio: soliloquio della Cechia che senza grossi sforzi fa 4-0.
Jagr scodella un assist che è forse più bello del gol Krejci. Tutti si chiedono che fine abbia fatto il portabandiera della Slovacchia, il gigantesco difensore Zdeno Chara, il grande non pervenuto.
Poi Marjan Hossa alla fine del secondo periodo scopre che se perdono questa gli slovacchi sono fuori e decide di segnare uno di quei gol che valgono più di 1: sono i gol che ricordano ai tuoi compagni di squadra che nell’hockey i gol si segnano velocemente.
Terzo tempo ed in 1 minuto tutti i talenti slovacchi si svegliano, Chara compreso,  e fanno 4-3. Il pubblico diventa rovente. Ogni assalto slovacco può completare la rimonta, i cechi si difendono con denti e nervi e bastoni. Contropiedi, transizioni velocissime e grandi parate da ambo le parti  tengono la situazione stabile fino alla penalità per slashing di Meszaros ad un minuto dalla fine che spezza la stecca dell’avversario ed il morale degli slovacchi in inferiorità numerica.
Ultimo minuto, slovacchi che spingono fuori il portiere ed i cechi segnano l’empty netter del 5-3. Slovacchi fuori con onore,  Cechi esausti. Gli U.S.A. ringraziano.